Governo in stato vegetativo. Il polso è lento. Lentissimo. Quasi inesistente.
Sembra la definizione adatta che aderisce perfettamente come una muta al palazzo; quello di Roma.
La stessa Roma che ieri si è accesa di bellissimi colori per una mobilitazione che voleva segnare un netto distacco fra il popolo e i governanti. Come è accaduto un tempo sta riaccadendo adesso. La Roma che poi si è spenta nella protesta violenta dei pochi. Quelli che nulla hanno a che vedere con la costruzione del domani migliore. Quelli che Pasolini aveva già condannato. "Le facce dei figli di papà con lo stesso occhio cattivo" - scriveva uno dei più grandi intellettuali che il nostro paese abbia conosciuto - "Siete paurosi, incerti, disperati ma sapete anche come essere prepotenti, ricattatori e sicuri: prerogative piccolo borghesi, amici".
La storia ci ha già raccontato spezzoni similari e ieri tutti coloro che hanno tentanto di isolare i violenti sono i fiori migliori che questa Italia possa aver partorito.
Sono i fiori migliori perchè capaci di essere menti critiche e pensanti, lontani dalle manipolazioni e dal pensiero unico che omologa e spezza le giuste motivazioni.
I fiori migliori che hanno deposto un fiore su quel blindato dato alle fiamme che racconta si il disagio di un pezzo di epoca ma anche la disperazione che mai più vorremmo provare.
Noi giovani siamo stanchi di questa politica che permette questo; questa classe politica che commentava ai microfoni dei media e che nulla ha fatto perchè gli scontri fossero evitati.
La classe politica che costruisce un falso dualismo fra "i giovani che si danno da fare nella vita" e "quelli che invece manifestano e spaccano vetrine". Questo dualismo è falso, vecchio, imputridito della retorica peggiore che non convince più nessuno.
Perchè in questa Italia che sentiamo nostra chi manifesta è chi cerca di darsi da fare. E' chi ancora non vuole mollare. Chi manifesta è chi crede ancora nella democrazia che si esprime anche nella protesta. Cosa significavano i cortei di ieri? Quale era la loro collocazione all'interno del panorama globale? Era qualcosa che viaggiava ben più in alto dei cori contro Berlusconi. Pochi, fortunatamente pochi. Perchè ciò che non va è un intero sistema retto dalla finanza e dalle lobby. E questi, purtroppo, sono tumori che generano metastasi in tutti i pesi del mondo. Lo stiamo vedendo: la protesta non riguarda solo la nostra Italia o l'Europa.
La domanda ritorna: cosa erano i cortei di ieri?
Erano la prova tangibile e concreta che la domanda di democrazia non è morta e non può essere affossata. Sono stati la discontinuità gentile, ribelle e sognante di un popolo che ritorna a prendere parola. Anche qui, anche in Italia, anche a Roma dove i peggiori servi di questo sistema siedono sulle loro poltrone.
Sono parole dure? Non lo sono abbastanza.
La polemica sugli infiltrati non sarà oggetto di questa nota. Perchè credo che essa spenga la luce che ieri abbiamo intravisto tutti: anche qui possiamo riappropriarci del nostro futuro.
Possiamo farlo tutti insieme nonostante le nostre differenze che, quando sfilano vicine, sono forse il dipinto più bello.
E questo non è un punto di debolezza, dobbiamo iniziare a dirlo chiaramente.
Lì dove una certa classe politica ormai alla deriva arrampicata su qualche voto strappato chissà come spera di imporre il pensiero unico, noi dobbiamo rivendicare il bisogno di riconnetterci insieme, nonostante le nostre differenze che sono proprio la nostra ricchezza.
E' su questo che possiamo costruire una netta distinzione culturale fra noi e loro.
Questo può essere un terreno fertile per il centro sinistra.
Nel palazzo ci sono loro,il buio. Chiusi e schiacciati dal peso della loro omologazione. Fuori ci siamo noi, la luce con i nostri colori che parlano linguaggi molteplici e raccontano tante storie diverse.
Così è arrivato.
Arriva prima o poi il momento in cui il silenzio non basta più e neanche l'indignazione può essere l'unica risoluzione parafrasando Ingrao nel suo "Indignarsi non basta".
Roma ieri non è stato un fallimento. Se il fumo scuro causato da qualche violento offusca la luce dei tanti, allora siamo ancora lontani dalla giusta coscienza che potrà rinvigorire questa Italia.
Roma è stato un inizio. Forse un altro pezzo.
Ma guai a chiunque smette di credere che debba ripartire da lì il cambiamento.
Pensare globale agire locale. Avevo letto più volte e ascoltato questa frase.
La mia città non è Roma.
Ma l'indignazione c'è anche qui e vibra forte, esce dalle stanze di partito per correre fra la gente.
Anche nella mia città proveremo a non fermarci all'indignazione. Proveremo a ricostruire un cammino che getti le proprie fondamenta sulla volontà di interrogarci, parlarci, raccontarci per comprendere le differenze e per dare a queste una voce unica.
Un grande megafono anche ad Andria che parli tutte le parole di questa Italia che ieri era a Roma e che ogni giorno scava la montagna; lentamente ma lo fa.
Non ci sono conclusioni. Non possono ancora essercene. Piuttosto concludo citando un pezzo di una canzone di un altro grande poeta e intellettuale che abbiamo conosciuto (e forse ancora troppo poco.
Si chiama Fabrizio de Andrè e le sue parole devono ancora echeggiare in ogni sede, in ogni città, in ogni piazza, in ogni nazione. Ovunque.
Chiudo perciò così:
"Per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti."
Vito Ballarino